sabato 20 ottobre 2007

Anni marginali

Dimentico la radio accese, e mi risveglio ascoltando Uomini e Profeti su Rai Radio 3.

Quando ricomincio a comprendere le voci, la trasmissione è già avviata alla fine e si tirano le conclusioni; mi colpiscono le parole con cui Umberto Galimberti conclude e riassume il suo intervento, che pressappoco (riassumo a memoria, e quindi con tuttà probabilità inesattamente) dicono questo: che l'età di maggiore energia e vigore di un individuo, gli anni dai 15 ai 30, vengono sprecati, marginalizzati, nella nostra attuale società. Si è al margine della società perché c'è prima una lunga formazione e un apprendistato infinito, poi l'accoglimento nel mondo del lavoro attraverso lavori precari e saltuari. Dice Galimberti, che i giovani vivono la notte perché non hanno niente da fare nel mondo del giorno.

Questo mi sveglia del tutto, e mi viene in mente un saggio di Paul Graham, che sostiene qualcosa di simile. Graham analizza i meccanismi della popolarità tra nelle scuole americane, a partire dalla propria esperienza di “nerd” continuamente deriso e offeso, e giunge alla conclusione che i meccanismi sociali che si formano nelle scuole dipendono proprio dal fatto che le scuole sono distaccate dalla vita reale. Di più, sono precisamente il modo con cui gli adulti tengono occupati i giovani per non essere disturbati mentre svolgono un lavoro (perdonate la traduzione pedestre e faticosa):

“I teenager avevano un ruolo più attivo nella società. In epoca pre-industriale, erano tutti apprendisti, in un modo o nell'altro, nei negozi, nelle fabbriche, o addirittura sulle nevi da guerra. Non venivano lasciati a creare società loro proprie. Erano membri giovani di società di adulti.

I giovani sembravano aver più rispetto per gli adulti a quei tempi, perché gli adulti erano visibilmente esperti delle competenze che i giovani provavano ad acquisire. Oggi la maggior parte dei ragazzi ha solo una vaga idea di ciò che i genitori fanno nei loro uffici distanti, e non vedono un legame [...] tra lo studio a scuola ed il lavoro che faranno una volta adulti.

E se i giovani avevano più rispetto per gli adulti, gli adulti avevano modo di servirsi dei giovani [...]

Ora gli adulti non sanno che farsene dei giovani. Starebbero tra i piedi in ufficio. Quindi li mollano a scuola, andando al lavoro, quasi come se lasciassero un cane al canile andando via per il week-end.” [1]

Rileggo il resto. E, più lo rileggo, più mi colpiscono i paralleli. Non sono, non possono essere, un caso: due persone diverse ragionano intorno allo stesso aspetto della società con mente analitica, e arrivano a dire cose simili. per esempio, Graham arriva a descrivere l'attitudine degli adolescenti usando la stessa parola, “nichilismo”, che appare nel titolo del saggio di Galimberti.

Possiamo considerarla come una prova che c'è del vero in quello che dicono?

L'analisi di Graham si ferma alla scuola superiore, e visto che è basata sulla sua esperienza personale, considera già gli anni dell'Università come un altro mondo, parte della vita adulta.

Ma qui, dall'altra parte dell'oceano, la società parallela e marginale continua anche dopo.

Ora che ho capito dove sono, qualcuno mi dica come uscirne.

[1]

Da “Why Nerds are unpopular”; il brano originale è poco dopo la metà del saggio, comincia con: “Teenage kids used to have a more active role in society.”

mercoledì 3 ottobre 2007

Quattro pistole

È notizia di questi giorni che l'ex-Brigatista Rosso Cristoforo Piancone, in semi-libertà, ha tentato una rapina armata in Banca ed è stato arrestato. Si riaccendono le solite polemiche: gli anni di piombo che non si possono chiudere, il garantismo, la certezza della pena, cose così.

Alla radio sento qualcuno che ricorda che c'è una responsabilità dei giudici, che decidono se concedere il regime di semilibertà o le altre forme alternative alla detenzione. E quindi che, alla fine, è una questione di buon senso più che di regole.

Sempre dalla radio, qualcun altro (che pure lavora nell'immensa macchina della giustizia, anche se non ricordo in che ruolo) cerca di lavarsene le mani e scrollarsi di dosso questa responsabilità: a certe categorie di persone non bisognerebbe dare queste possibilità, punto e basta. (Ma lui non dice "persone": dice per certe categorie di reati, e così è tutto più facile, perché non stai parlando del tuo potere sulla vita di qualcuno, ma di una cosa astratta e sempre deprecabile come un reato, che tutti vorremo senza dubbio vedere cancellato dal mondo.)

Qualcun altro sostiene che i giudici devono prendere una decisione difficile, nel valutare se qualcuno è pronto per ritornare, sia pure a tempo parziale, alla vita civile. Devono valutare se dargli fiducia. (Ma lui dice: "I giudici devono prevedere il futuro", per sottolineare l'enorme difficoltà).

Mi vengono in mente due cose.

Primo, che come al solito in tutte queste discussioni sparisce il caso concreto: si parla per astrazioni (il garantismo, la certezza della pena, etc.) e nessuno va a vedere cosa è veramente successo. Per esempio, le motivazioni con cui è stata concessa la semi-libertà. [1] Per esempio: come vengono prese queste decisioni? Chi sono i consulenti del giudice in questi casi, chi gli fornisce le informazioni? (Perché non è che un giudice si mette lì e tutti i giorni per 17 anni va a vedere cosa fa un detenuto in carcere: c'è qualcun altro che —forse— lo fa e riferisce.) Quali informazioni vengono prese? Da chi? Con che criterio vengono valutate?

Secondo: questo si presenta a fare una rapina con quattro pistole, un complice ed una moto rubata a Giugno, e nessuno finora si era accorto di niente? Il Questore di Siena dichiara che questi permessi sono rilasciati troppo presto, e che “Se fosse morto un poliziotto, avrei avuto qualche difficoltà a spiegare dai suoi familiari perché un ex brigatista fosse in regime di semilibertà”. A me sembra che dovrebbe invece avere difficoltà a spiegare come sia possibile che qualcuno in regime di semi-libertà possa procurarsi quattro pistole, un complice, rubare una moto e pianificare una rapina senza che nessuno, nessuno si accorga di nulla.

Viene da pensare, che tutte queste polemiche siano lì solo per nascondere il fatto che in realtà non c'è un apparato intorno alle misure alternative alla detenzione. Che uno viene messo in semi-libertà, o agli arresti domiciliari ed è abbandonato a sé stesso. Ogni tanto passano magari i carabinieri a vedere se ci sei, ogni tanto devi andare da qualche parte a firmare qualcosa. Ma non c'è (o talvolta non c'è, o spesso non c'è) un apparato per il reinserimento, che aiuta a tornare gradualmente ad una vita normale e sorveglia che questo avvenga. Se c'è, sarebbe allora forse meglio chiedersi perché in certi casi non funziona. Se non c'è sarebbe bene che qualcuno lo dicesse, e si ragionasse su questo.

Lo dico così, da ignorante del mondo carcerario e di quello che ci gira intorno. Ma vorrei capire, e qui mi pare che nessuno aiuti, in questo.

[1]Il Ministero dell'Interno ha annunciato una inchiesta, ma noi non ne vedremo mai gli esiti sui giornali. E poi parte una inchiesta ogni volta, e i fatti le polemiche si ripresentano sempre uguali, segno che queste inchieste servono probabilmente a poco. O che non è lì il problema.

Sempre meglio che lavorare

Non ringrazierò mai abbastanza Arcimboldo che mi ha passato oggi l'indirizzo di questa pagina:

http://www.structuredprocrastination.com/

In qualche punto dell'articolo, sembra che stia per suggerire che la procrastinazione apre nuove vie e quasi nuove vite. (Giocare a ping-pong con gli studenti è meglio che preparare interventi e correggere le bozze, su tutti i fronti, ci dice. Quasi.)

Poi però rientra un po' nei ranghi, e ce la spiega come una tecnica furba per riuscire a fare le cose lo stesso, e come diventare bravi a fare quello che si deve fare pensando che ben altro ci sarebbe da fare, e ci sono questi trucchetti, etc.

Ma, insomma, sempre meglio che lavorare :-)